Elaborazione del lutto in chiave cinematografica – Les Revenants

C.S. Lewis nel suo “diario di un dolore” scriveva:

Credevo di poter descrivere uno stato, fare una mappa dell’afflizione. Invece l’afflizione si è rivelata non uno stato, ma un processo. Non le serve una mappa ma una storia, e se non smetto di scrivere questa storia in un punto del tutto arbitrario, non vedo per quale motivo dovrei mai smettere. Ogni giorno c’è qualche novità da registrare. Il dolore di un lutto è come una lunga valle, una valle tortuosa dove qualsiasi curva può rivelare un paesaggio affatto nuovo. Come ho già notato, ciò non accade con tutte le curve. A volte la sorpresa è di segno opposto: ti trovi di fronte lo stesso paesaggio che pensavi di esserti lasciato alle spalle chilometri prima. E’ allora che ti chiedi se per caso la valle non sia una trincea circolare. Ma no. Ci sono, è vero, ritorni parziali, ma la sequenza non si ripete“.

Ho dunque pensato alla necessità di doverlo percorrere, il dolore, per poterne venir fuori rinforzati ed evitare di girarci attorno senza fine attraverso scorciatoie che conducono nuovamente al punto di partenza. Ho pensato a quella frase dopo aver visto alcune scene della serie Tv francese “Les revenants” in cui “chi muore si rivede“. Qui i personaggi, che si scontrano con il “ritorno” di alcuni loro cari morti tempo prima, tra fantascienza e incontrovertibilità della natura, devono ricostruirsi con questi misfatti: credere al ritorno e appagare il proprio desiderio di ricostruire una vita con l’oggetto d’amore? o rifiutare questa visione e “tradire” il proprio caro “ritornato alla vita”?

lesrevenants

E’ questa una serie in cui la metafora dell’elaborazione del lutto viene resa dalla paradossalità del senso di realtà che se la gioca con l’impossibilità a volte di accettare la morte e le sue fasi di irreparabilità e non ritorno. Les Revenants è la metafora di ciò che crea un lutto non elaborato.

Allo stesso tempo un’altra serie tv, Black Mirror, trattava in un episodio (Torna da me) del paradosso della non accettazione della morte di un caro.

Scrivevo prima che alcune scene della serie tv sono significative, rispetto alla frase di Lewis: chi spera di uscire dalla cittadina “maledetta”, infatti, ci gira invece attorno ritornando sempre allo stesso punto. Metafora che non ci sono scorciatoie al dolore, bisogna percorrerlo tutto. La speranza è quella di uscirne ed arrivare in un luogo salvo da questa maledizione, ma la realtà (ed il messaggio metaforico) è che finchè si combatte coi propri fantasmi non si può fuggire da essi.

E’ risaputo che il lutto è uno stato emotivo inevitabile col quale ognuno nella vita dovrà prima o poi confrontarsi e viene inteso generalmente come la reazione fisiologica alla perdita di una persona cara.

Eric Lindemann (1944) è il primo studioso che ha descritto i sintomi del lutto. Egli arrivò ad identificare tre stadi che si ripercorrono:

1) shock ed incredulità, in cui è riconoscibile l’incapacità di accettare la perdita fino ad arrivare alla totale negazione dell’evento luttuoso;

2) cordoglio acuto,caratterizzato dall’accettazione della perdita;

3) risoluzione del processo di cordoglio, con una ripresa graduale delle attività quotidiane ed una riduzione dei pensieri relativi alla persona defunta.

Bowlby nel 1980 distingue invece 4 fasi del cordoglio:

– la fase dello stordimento e dell’incredulità, la fase di ricerca e struggimento per il defunto, la fase di riorganizzazione e disperazione e la fase di riorganizzazione (familiare, individuale, sociale).

E’ proprio nella fase di ricerca che Parkes ha posto le basi più rischiose dell’elaborazione del lutto, tra cui a volte la spinta al ricongiungimento (di cui la più drastica è il suicidio, considerato come l’unico modo per riunirsi alla persona perduta).

Nella serie tv, molti dei sopravvissuti hanno raggiunto la fase 3 di risoluzione del cordoglio, ed è per questo che compiono gesti di “tradimento” verso i propri defunti riapparsi, forse con l’intento di evitare di soffrire nuovamente per una nuova perdita. Ma spesso sono bloccati nella fase di ricerca e incappano, come scelta drastica, nel suicidio come unico modo per ricongiungersi al proprio caro.

La serie “Les revenants” si svolge in un piccolo paese di montagna, alcune persone morte da qualche tempo, ritornano in vita: Camille, un’adolescente morta in un incidente d’autobus, Simon, un giovane morto suicida il giorno del suo matrimonio, Louis alias Victor, un bambino che non parla e molti altri. I “redivivi” cercano di tornare alle proprie vite come se nulla fosse successo ma nel frattempo si verificano degli strani fenomeni, tra cui la morte sospetta di molti abitanti.

Ad una visione più accurata della serie tv, si può fare il pensiero secondo cui non sono i “resuscitati” a portare la maledizione nel paesino, ma è la contronatura stessa della possibilità di ciò, che porta i sopravvissuti a compiere gesti estremi che conservano quel dato di realtà (l’anziano che dà fuoco alla sua casa morendo nel rogo con l’intento di annientare la moglie riapparsa ma defunta 30 anni prima; i genitori che compiono un suicidio di coppia con l’intento di ricongiungersi al figlio morto 4 anni prima e non ancora ritornato, ecc).

Les revenants richiede di essere visto con quella nota critica rispetto a ciò che una scorretta elaborazione del lutto comporta.

Se ti è piaciuto l’articolo e vuoi restare aggiornato con articoli simili condividilo e passa a trovarmi su Facebook e lasciami il tuo Mi Piace