I giovani e le patologie del vuoto

Si sa in fondo che la società, come diceva Umberto Eco, procede a passi di gambero. E’ come se la bulimica innovazione si ritorcesse contro facendoci fare dei passi indietro (per chi ci riesce) per trovare un posto al sicuro dal contagio pseudo-innovatore. Oggi il benessere paradossalmente ci incupisce, perchè ci rende vuoti e facilmente soppiantabili.

Il ragionamento che voglio fare con voi oggi è piuttosto lineare e si basa su un assunto quasi Lapalissiano:

Quando la realtà dell’individuo supera le sue aspettative egli è felice (se mi aspettavo 10 e ho ottenuto 12 posso ritenermi soddisfatto) ma quando invece accade il contrario, ossia che la realtà dell’individuo viene superata dalle aspettative (mi aspettavo 10 ma ho ottenuto 8!) allora qualcosa nel cervello inizia ad andare storto e ci si sente insoddisfatti.

Ed è su questa voragine di insoddisfazione che pianta il pilastro il marketing dei giorni d’oggi: ogni volta che si avverte un vuoto dentro si proverà a riempirlo, consumando e consumandosi di un effimero piacere, oltre che fugace. Appena l’effetto della novità sarà scomparso, il vuoto si farà nuovamente avanti e si ricomincerà a cercare le soluzioni nelle cose anziché nelle relazioni. Un articolo di qualche anno fa apparso su ilfattoquotidiano.it affermava che “l’industria del vuoto è sempre la più fiorente […] Non smettere mai di desiderare è l’inferno dei tanti vuoti individuali che convergono in una voragine sociale”. 

La sollecitazione permanente del dover essere all’altezza crea quindi un senso di fallimento, d’indegnità, d’insufficienza, di colpa per non riuscire ad esserlo. Il paradosso di queste patologie del vuoto, in fondo, è proprio il sentirsi intrappolati in un vuoto che, per definizione, crea angoscia poichè non è palpabile.

La depressione sta all’insufficienza come la follia sta alla ragione. E la depressione d’oggi diventa dunque una patologia dell’identità dove l’individuo è ‘l’impotente sovrano di se stesso’ da cui deriva il suo ‘delirio d’inferiorità’.

E’ seguendo questo ragionamento che le notizie del maggior tasso di suicidi tra i giovani nella Silicon Valley lasciano inermi ma non stupiscono più di tanto. Il tasso di suicidi nei licei di Palo Alto è quasi cinque volte superiore alla media nazionale. Una delle risposte alla domanda sul “perchè?” viene dal mondo socioculturale, che vede mondialmente la Silicon Valley (luogo che accoglie le maggiori aziende mondiali come Google Inc., Facebook, Apple, solo per citarne alcune) come il luogo in cui la gente è cresciuta con l’eccessiva enfasi che le scuole e le famiglie mettono sull’idea di eccellenza. Bisogna eccellere, bisogna essere meglio degli altri.

E quando le aspettative superano la realtà, la risposta è l’impotente (e apparentemente incolmabile) vuoto a cui bisogna dare sfogo e parola.

Il precedente link rimanda ad un articolo che approfondisce l’argomento.

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