Elaborazione del lutto

Sia in termini di clinica che di ricerca nel corso di questi anni ho maturato una forte esperienza nel supporto all’elaborazione del lutto nelle sue varie forme, specialmente nel contesto della psiconcologia e della suicidologia. Tutto ciò avvalorato anche dall’attività di ricerca giornaliera.

Bowlby definiva il lutto “una gamma molto ampia di processi psicologici consci ed inconsci scatenati dalla perdita di una persona amata, a prescindere dal risultato finale di tali processi“. E’ uno stato emotivo inevitabile. Secondo il punto di vista sistemico, un lutto è visto in termini di processi transazionali influenzati dall’esperienza di perdite precedenti e che coinvolge sia coloro che muoiono che coloro che sopravvivono. Una morte in famiglia coinvolge più perdite in numerose relazioni, ruoli funzionali, l’unità familiare, speranze e sogni per tutto ciò che avrebbe potuto essere. Le perdite che modificano la struttura della famiglia richiedono quindi la riorganizzazione della stessa nei termini di ruoli e funzioni. In fondo la morte conclude una vita ma non una relazione, che continua nella mente di chi resta attraverso il lutto che implica una trasformazione dei rapporti in presenza fisica a obbligazioni continuative attraverso connessioni spirituali, ricordi, azioni e storie che passano attraverso le reti di parentela e sono tramandate alle generazioni future.
Alcuni autori di stampo sistemico hanno concettualizzato come le famiglie reagiscono dinanzi alla morte e al morire, ad esempio Jackson ricorda come una famiglia reagisca alla morte proprio come un sistema; nonostante si soffra in qualità di individui, il sistema familiare ha risorse in ogni membro e tutti i membri partecipano mutualmente rinforzandosi e sostenendosi nell’interazione. A rigore di ciò, le azioni e le reazioni di un membro della famiglia hanno un effetto sugli altri membri e sul loro funzionamento, tale che quest’interdipendenza esiste poiché la causalità nei sistemi è circolare e non lineare. La morte, secondo Bowen, produrrebbe ondate di shock emozionale che si ripresentano nel corso delle generazioni successive. L’onda d’urto emotiva viene infatti definita da Bowen come “un intreccio di contraccolpi sotterranei costituiti da eventi vitali gravi che possono prodursi ovunque nel sistema familiare esteso nei mesi o negli anni che seguono un evento di grave significato emotivo, di solito dopo la morte o la malattia che ha messo in pericolo la vita di un membro significativo della famiglia, ma anche dopo una perdita di altro genere“. L’onda d’urto emotiva venne riscontrata per la prima volta in una ricerca effettuata da Bowen alla fine degli anni ’50, quando notò che una serie di avvenimenti di importanza vitale si presentava in membri lontani della famiglia estesa tra il manifestarsi della malattia e la morte di un membro significativo. Il fenomeno, apparentemente casuale, venne poi confermato in un’alta percentuale di famiglie, provocando disturbi psicopatologici nei familiari, che spesso ne ignoravano la causa. I sintomi dell’onda d’urto possono assumere la veste di qualsiasi problema umano: malattie fisiche, manifestazioni emotive, disfunzioni sociali. E’ molto importante dunque poterla riconoscere quando si ha a che fare con famiglie che presentano problemi legati alla morte di un loro membro.